Lettore-zero, qui saprai di Alfonso Della Marca, avvocatino e scrittore d’occasione, il quale, giunto all’acme d’una crisi maniacale, allettato a psichiatria, senza reticenze o timori snocciola al pubblico la sua personale Alcesti. In una terra dove ognuno vive secondo leggi proprie, si muovono quei morticani del titolo, infedeli dannati come le salme di certe tombe di Venezia sulle cui lapidi, a ben vedere, s’incideva il disegno d’un cane, cane d’un turco, turcomanno, turcazzo. «Maledetti i vostri antenati», dice il gergalismo. Morticani che gavé.
Poi, ancora, fatto strano, sembrò prendere la parola un coro composto non da uomini donne nutrie e ispettori, bensì da edifici infissi manifesti resti di boschi; capitò una cosa extra-ordinaria: come se il centro Topinambur degli ammorbati terminali, la residenza Minima Speranza dei disabilissimi adulti e la casa di riposo Monumento al Degustatore Ignoto dei precipitati in istato di abbandono si fossero messi a comiziare all’unisono, in virtù di serramenti, tende e maniglie parlanti, a un popolo orfano, mirabilmente umani nonostante la loro materia edile; a cimbalar era il coro dei citizens di Fava sul Dose, strilli di grulli o le voci del tutto originali di nuovi evangelisti condannati all’anonimato.